L’ITALIA DEI TRENINI PERDUTI

BRAL

(di Gabriele Montella)

 

Siamo nel 1902 quando Roberto Braglia apre una piccola officina a Milano in via Paolo Sarpi, quella che negli anni ’60 sarebbe diventata – e lo è tuttora – la Chinatown di Milano.

Alla Camera di Commercio la ditta venne registrata come “Fabbrica italiana di giocattoli e minuterie metalliche”.

In effetti la produzione era diversificata (dagli attrezzi per falegnameria alle cerniere e viteria) e i giocattoli, realizzati in lamiera  piuttosto grossolana, non erano l’attività principale.

 

 

Nei primi decenni del secolo scorso leaders mondiali del giocattolo di latta oltre alla onnipresente Marklin erano la Bing (pure tedesca) e la francese Carètte, quest’ultima  con realizzazioni di indubbio pregio.

 

 

In Italia solo la Cardini di Omegna poteva competere, ma improvvisamente nel 1930 aveva chiuso i battenti.

 

 

Come spesso accade l’occasione per la svolta commerciale fu il ricambio generazionale.

Nel 1935 al padre Roberto subentra il figlio Arnaldo il quale  lascia l’angusta officina di via Sarpi  per trasferire l’azienda in una sede più ampia.

Ebbe poi una felice intuizione, quella di sfruttare l’entusiasmo popolare (ben supportato dal Regime di allora) per le imprese di quegli anni della nostra aviazione.

Realizza quindi una serie di abbastanza fedeli riproduzioni di aerei della Regia Aeronautica (tra i quali i Caproni e i Macchi) in scatola di montaggio con risultati – per allora - più che apprezzabili.

 

 

Ma la vera svolta fu l’avvio della produzione del “Costruttore Meccanico” , cioè della prima  versione italiana dell’universalmente noto “Meccano” inglese, quello di Hornby,  (Il “Meccano di Rivarossi” arriverà dopo la guerra).

 

 

(Da  Manlio Rolando: “50 anni tra i giocattoli” - Ed. Italia Press – 2009)

 

Veniva venduta una confezione “base” per semplici realizzazioni che si poteva via via arricchire per creazioni più complesse, in seguito anche dotate di motorini elettrici.

Il successo non mancò anche perché si trattava di una produzione nazionale in concorrenza con quella inglese, a quei tempi poco ben vista .

Trascorsi gli anni della guerra ormai l’azienda grazie al “Meccano” era finanziariamente solida così da permettersi di entrare nel rischioso settore del giocattolo di lusso, di cui è un esempio la riproduzione in perfetta scala 1/15 della Ferrari “502”, quella del compianto Alberto Ascari che aveva appena vinto il titolo mondiale.

 

 

 

 

I trenini Bral

In quello stesso anno 1952 la BRAL entrò anche nel mercato del treno elettrico presentando in scala “0” un modello di locomotiva a due assi con tender pure a due assi in due versioni, una italiana ed una tedesca con vistosi spartifumo.

Era una macchina molto pesante realizzata – come tutte quelle successive - in Silumin, una lega di silicio e alluminio molto solida tanto che veniva utilizzata per il monoblocco della automobili da competizione.

Altra caratteristica di questa lega era l’elevata “colabilità” che permetteva di utilizzare stampi anche molto dettagliati

Il funzionamento era a corrente alternata a 20 volt con captazione dalla terza rotaia mediante striscianti, con i soliti portaspazzole esterni  ed inversione di marcia solo manuale.

Questo motore a due assi restò lo stesso per tutta la produzione di cui resta poco materiale iconografico.

 

 

  

(Da  Manlio Rolando: “50 anni tra i giocattoli” - Ed. Italia Press – 2009)

 


In questo collage (forse realizzato con immagini tratte da una rivista specializzata che ignoro) sono riportati un locomotore ispirato all’E 424 FS (o forse all’E 610 delle FNM) con a fianco quello che sembra un  prototipo realizzato in lamierino.

Al centro un locomotore con doppia motorizzazione ispirato all’ E 636 FS di  colore verde ma offerto anche in giallo ed un modello, a mio parere unico nella produzione italiana, di locomotore trifase tipo “Giovi”, forse un E 554 FS.

In basso un locomotore che richiama l’E 428 FS visto dal lato dei portaspazzole.

Seppure non ricca come per Rivarossi e Conti CO.MO.G.E. i cataloghi riportavano una discreta scelta di carri, un po’ meno varia era quella di carrozze.

Di quest’ultime infatti veniva offerto un solo modello ma di diffenti colori.

Oltre che in  beige  erano verniciate in due tonalità di verde o in blu.

                          

Era proposto anche un bagagliaio di colore arancione.

 

 

Come detto più varia era l’offerta di carri.

                      

 

 

Oltre a questi e a quelli riportati nel collage dei locomotori si può avere una idea da questo catalogo.

 

 

 

 

La locomotiva in basso è la versione “tedesca” di quella a due assi di cui si è parlato poc’anzi.

Gli automezzi (come la gru più sopra ) erano di produzione  Mercury.

 

 

 

 

Non mancavano carri curiosi, come quello destinato al trasporto di animali venduto unitamente a due vitelli di plastica  e quello “autocelebrativo” costituito da un carro cisterna di colore azzurro col marchio BRAL.

Tutti il materiale rimorchiato era realizzato quanto al telaio in Silumin e quanto al resto in lamierino piegato.

Come facilmente può desumersi dalla riproduzione del catalogo più sopra, il settore del treno elettrico era marginale rispetto a quella del “Meccano” cui era riservata non a caso la  copertina e gran parte delle pagine interne.

Col catalogo del 1962, quello del sessantesimo anniversario dell’azienda, avviene una cosa strana.

Gran parte dei modelli viene tolta e compare per la prima volta una locomotiva non più dotata del solito motore a due assi ma di uno a tre assi.

Veniva descritta come ispirata alla classe “S. 2” della Pennsylvania Railroad, che però di assi ne aveva ben di più…

Sembrava una svolta nella produzione, finalmente diversificata nella motorizzazione e rivolta anche al mercato estero. Al contrario col catalogo del 1963 la produzione dei treni non compare del tutto e mai più ritornerà. Le motivazioni possono essere solo azzardate. In primo luogo deve ricordarsi che erano modelli estremamente costosi realizzati, come detto, con una lega pregiata ed in una scala, la “O”, che presupponeva spazi sempre meno disponibili nella edilizia residenziale degli anni ’60.

Si trattava pertanto di un mercato più che “di nicchia”.

Erano poi gli anni del passaggio dal treno - giocattolo al treno -  modello ed il livello qualitativo della concorrenza (Rivarossi ma anche Marklin, che in Italia vantava molti appassionati) era indubbiamente superiore.

Come la Conti CO.MO.G.E. e la Treni Favero anche la Bral fu una meteora durata una ventina d’anni ma anch’essa una testimone dell’altissimo livello raggiunto dalla industria micromeccanica nazionale.

 

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