(di Massimo Cecchetti)
D 341 BREDA fermodellista Sig. Donato Tamilio – Potenza anno 1960
Il frontale del D341.202 BREDA, fotografato dal Sig. Tamilio, in deposito a Potenza. Sarà l'oggetto della sua elaborazione. Fu soprannominato dai ferrovieri “Sputnik” (come il razzo sovietico lanciato nello spazio nel 1957) per la potente accelerazione che imprimeva ai treni in fase di partenza.
Nel secondo dopoguerra e più precisamente a circa metà degli anni '50, le FS decisero di dare un forte impulso alla modernizzazione della trazione endotermica. Il vapore era ormai alle sue ultime prestazioni e la trazione elettrica, che si affermava su scala nazionale, tendeva a trascurare le linee secondarie. Era inevitabile che le nostre ferrovie si dedicassero, in questa fase, alla trazione diesel che offriva, oltre a nuovi schemi di potenza, una migliore elasticità delle motrici rispetto ai percorsi e, cosa non da poco, una minore accudienza delle macchine rispetto al vapore. In pratica un minor costo di esercizio associato ad una maggiore elasticità di trazione sia per i convogli merci che passeggeri. I prototipi apparvero in esercizio alla fine degli anni '50 e non potevano che impressionare ed entusiasmare i fermodellisti di allora. Che rimanevano affascinati dalle architetture semplici, moderne e razionali delle macchine e delle loro cromie, decisamente più attraenti del nero delle macchine a vapore.
Il fermodellista Donato Tamilio ne rimane talmente affascinato al punto da volersene autocostruire un esemplare da inserire nella sua collezione. Realizza un modello di grande qualità e realismo, considerando anche il fatto che, non disponendo di disegni tecnici o figurini, rileva direttamente il prototipo in deposito con metro, blocchetto di appunti e macchina fotografica. E rileva appunto uno dei due prototipi BREDA, il D341 202, in servizio sulla linea Salerno-Potenza-Taranto, quasi certamente nel deposito di Potenza. Donato realizza per H0rr N.40 anche un disegno esploso del modello, assai ben fatto, e che riproduciamo con gran piacere. Da notare i carrelli, ripresi da altro modello Rivarossi le cui fiancate però saranno elaborate come vedremo più avanti. Nella foto notiamo anche un cavetto elettrico, sopra carrello dx (fuoriuscito dalla carrozzeria al momento dello scatto?) o rappresentante le tubazioni idrauliche del prototipo? (vedi foto del carrello).
Basta una semplice occhiata per riconoscere la componentistica originale Rivarossi, abilmente sfruttata dal fermodellista per motorizzare, dettagliare ed illuminare il modello.
LA CARROZZERIA Qui, probabilmente tra i primissimi, elabora la cassa del D341 non usando il consueto lamierino di ottone, quasi un obbligo per le elaborazioni di quegli anni, ma usando semplice cartapesta, leggera, duttile e più adatta alle curve morbide del prototipo. Prepara la cassa incollando, strato dopo strato, foglietti di carta pergamena intrisa di colla, pressata e battuta su una sagoma di legno preventivamente preparata. Raggiunge così lo spessore di circa 3 mm, consolidato da diverse mani di vernice e rifinito da un'accurata carteggiatura. Il risultato è “...che la cassa ha assunto l'aspetto, la leggerezza e una durezza tale da poter essere scambiata per una carrozzeria di plastica.” Questo metodo sarà seguito per anni da svariati fermodellisti con risultati di tutto rispetto. Da notare i carrelli, ripresi da altro modello Rivarossi e le cui fiancate però saranno elaborate come vedremo più avanti.
Un particolare, fortemente ingrandito, della foto del modello che mostra il dettaglio delle griglie, dei giunti e delle targhe, semplicemente dipinti sulla carrozzeria. Notevolissima la striscia di alluminio con il sottile filetto rosso centrale.
Al fermodellista non occorre altro che eseguire i fori per finestrini, fari e mancorrenti e dipingere e decorare la cassa. Tutti i finestrini sono in plexiglas opachi, inseriti negli appositi vani e rivestiti da una cornice in cartoncino che ne accentua il dettaglio. Riguardando di nuovo il disegno esploso e la foto del modello, si notano particolari degnissimi di nota, specie nell'ottica del tempo: i fischi, i tergicristalli sui vetri, le alette parasole per i macchinisti, le maniglie, le targhe di servizio e del costruttore, gli agganci per il sollevamento della cassa. Data le superfici particolarmente lisce del prototipo, Donato decide di dettagliare la cassa semplicemente dipingendo griglie, targhe e portelloni, trascurando così un po' di realismo così fortemente cercato (qualche spessore avrebbe fatto bene al modello) ma in compenso non trascurando nessun particolare, anche se di minore importanza. Per non far torto a nessuno dipinge la carrozzeria con gli “smalti” Rivarossi VR1 (rosso vivo semilucido) e VR4 e VR5 (beige isabella e bruno semilucidi).
IL TELAIO E LA MECCANICA Purtroppo non abbiamo una foto del modello senza la carrozzeria, per aiutarci a scoprire l'interno, ma possiamo solo far riferimento al disegno esploso e alle considerazioni dello stesso fermodellista. Il telaio è realizzato da una tavoletta di legno opportunamente sagomata ed è impreziosito da due coppie di respingenti SFN 936/37 molleggiati. Le scalettine sulle testate sono fisse mentre le più grandi (quelle per l'accesso alle cabine) sono superiormente snodate per non interferire con la rotazione dei carrelli. Una soluzione geniale, non c'è che dire! Una piccola curiosità: il prototipo Breda preso in esame da Donato porta il numero di servizio 202... il modello di Tamilio porta il codice 201. Al telaio sono fissate tre lampadine e relativi portalampade Rivarossi, la cui centrale, dipinta in arancione, simula l'illuminazione del vano motore.
Il carrello del D 341 202 tratto da una delle foto originali fatte da Donato Tamilio in deposito. Da notare le tubazioni che dal carrello entrano nella cassa. Sono forse le stesse che Donato ha voluto riprodurre sul suo modello?
Il motore, il classico 1677, fissato al telaio con la cerniera SFN 434, ingrana sui carrelli SFN 983-984 dotati di ganci SNF 3490 e di fiancate SFN 498 (sono le fiancate di una A FM/R!) fortunatamente però “fortemente modificate e completate dai particolari, come al vero: molle con astucci telescopici, bracci oscillanti di trazione, cassette sabbiere, ecc). Un bel lavoro di fino, non c'è che dire! I serbatoi carburante e i dispositivi di areazione motore sono autocostruiti da blocchi di piombo, come pure autocostruita è la caratteristica serpentina di raffreddamento. Il modello (lungo 16,5 cm, correttamente in scala H0) è appesantito da zavorra interna in piombo che, assieme ai serbatoi carburante esterni, portano il modello al considerevole peso di 500 g. Chissà se qualcuno è ancora in possesso del modello!
La foto tratta dal catalogo generale (1976) del modello Rivarossi. A Como preferirono però produrre per primo il prototipo Fiat (forse perché cromaticamente più attraente) e solo successivamente, ma con modifiche alla cassa, il prototipo Breda. Ovviamente la meccanica era la stessa. Comprendiamo bene la smania di Donato nel voler riprodurre il “suo” D 341... per averlo da Rivarossi avrebbe dovuto aspettare 16 anni!
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