Il "torrone" blocca la BR 96: smontaggio, pulizia e ripristino di Gianluca Cantori
E’ difficile non innamorarsi di una locomotiva a vapore tipo Mallet, qualunque sia il suo rodiggio: il movimento delle sue bielle è ipnotizzante, la facilità di iscrizione in curve di piccolo raggio e la forza di trazione sono sorprendenti. La filosofia di Anatole Mallet è valida anche in scala!
COME E’ ARRIVATA Questa macchina l’ho acquistata qualche anno fa usata; le foto che mi aveva inviato il venditore (l’ho acquistata on-line) mettevano in mostra una locomotiva praticamente nuova, con gli aggiuntivi tutti presenti in parte montati e la scatola in ordine, un po’ rovinata fuori. Dal vivo è ancora più bella che in foto: i particolari, le scritte, nitide anche quelle piccolissime, il cinematismo fine e completo, una ricerca del dettaglio davvero meticolosa.
Poi la prova sul binario … la bassa velocità regolare e la partenza fluida mi convincevano sempre più che avevo fatto proprio un affare… fino al primo deviatore destro. Qui la scoperta della sua vera storia, confermatami poi in seguito dal venditore. Questa mia BR 96 è nata con due difetti, invisibili fino alla messa in moto. Il primo è una grossa sbavatura nel centro dell’albero lungo (quello che collega i due carrelli motori) che ruotando batteva e faceva saltare il carrello posteriore ad ogni cambio di direzione. Si è reso necessario smontare il carrello posteriore, sfilare l’alberino e agire con un cutter inizialmente poi con carta abrasiva finissima per ridare la forma cilindrica perfetta, infine con un miniutensile e un disco di stoffa per un piccolo trattamento lucidante. Qualche decina di minuti e l’alberino non dava più fastidio ai carrelli motori. Ma non era finita così. Di nuovo un transito di prova sul deviatore destro ma nel momento in cui il primo asse del carrello anteriore trasla lateralmente … crank. La macchina si blocca dov’è e si inclina sulla sinistra. Dopo un’analisi ancora più attenta si intravede che cosa blocca il suo regolare funzionamento: il problema è nel biellismo del carrello anteriore. La testa a croce dello stantuffo va ad incastrarsi nella biella del primo asse motore quando questo trasla in curva, e va a bloccare tutto deformando quello che può! Un orrore. Questa volta ho dovuto mettere mano all’imbiellaggio del carrello anteriore e l’ho fatto non senza timore. La paura di incrinare qualcosa è tanta, ci sono particolari piccoli e fragili e la paura di rompere qualcosa è sempre dietro l’angolo. Per fortuna è bastato piegare leggermente la parte finale della biella verso l’interno e la guida della testa a croce verso l’esterno, o per lo meno, raddrizzarla: a storcerla ci era riuscita bene da sola!! Da quel momento, allorché il funzionamento era perfetto ho pensato di ungerla, riporla e mi sono riproposto di “sgranchirla” ogni tanto, come faccio con tutte le altre macchine. Pochi giorni fa, a distanza (purtroppo) di quasi due anni l’ho tirata fuori e l’ho messa in moto sui due metri di binario di prova che utilizzo allo scopo. E lo stupore è stato ancora più amaro quando ho dato corrente. Adesso fa addirittura fatica a muoversi e fa un rumore che presagisce qualcosa di poco buono. Viste le sorprese, ho pensato di fare una visitina approfondita, smontandola tutta e facendole letteralmente i raggi.
LA “GRANDE REVISIONE” Prima mi sono limitato a smontare la carcassa e la vite chiara al centro del carrello posteriore ed è venuto via intero. Per quello che c’era da fare bastava così. Per l’imbiellaggio, potendo ancora operare al di fuori del carrello è bastato smontarlo, operare e rimontarlo. Seguendo le istruzioni di smontaggio presenti nella scatola (il pieghevole) avrei dovuto smontare quattro viti, due davanti sotto la caldaia, circa sotto il fumaiolo e due dietro, sotto la carbonaia. Nel mio modello ce ne sono due anche sotto le casse dell’acqua. Estratta la cassa si vede subito il motore, nella mia al centro della caldaia e non nella cabina.
Il grosso volano assicura partenze e frenate docili. Il moto viene trasmesso dal motore con un alberino corto al carrello anteriore, il tutto nascosto in caldaia, poi di rimando con un alberino più lungo dal carrello anteriore al posteriore. Al carrello anteriore non basta estrarre la vitina grigia per separarlo dal sottocassa, bisogna sterzarlo tutto da una parte, portare il taglio presente nell’albero della scatola degli ingranaggi in posizione verticale, per estrarre più agevolmente l’alberino, infine svitare da sopra il carrello una vitina nera cortissima che fissa la piastrina con il filo diretto al motore.
Così i carrelli sono separati dal sottocassa. Non rimane che svitare le vitine nere che tengono il fondo rosso e, in quello anteriore, le due vicine che tengono ferma la scatola degli ingranaggi. Per il carrello posteriore è un po’ più brigoso togliere la trasmissione; dopo la separazione dal sottocassa bisogna agire sulle due viti che tengono assieme il gruppo cilindri, asportarle e spostare un po’ avanti il gruppo cilindri. In questo modo si riesce a togliere il coperchio che scopre la vite senza fine dentro il carrello.
Ed ecco l’amara sorpresa …
Il “miracolo” del grasso tramutato in torrone si è avverato. Documentandomi proprio da questo Sito, ho appreso che le macchine di produzione Rivarossi di quegli anni avevano proprio questo problema (quelle in mio possesso finora hanno almeno 20 anni in più!). Una crosta compatta aveva di fatto inchiodato tutto: viti senza fine, ingranaggi e assi. Ho iniziato lavando i fondi dei carrelli con acquaragia di pino (guai l’acetone) e un pennellino con setole corte. Attenzione alle balestre: sono appena incastrate al fondo, basta toccarle e si smontano. Toglierle prima può evitare di smarrirle. Gli assi non vengono via tutti facilmente: quelli senza ingranaggio scorrono verticalmente e sono “ammortizzati” dalla piastrina di rame che assicura conduzione elettrica, escono subito; quelli con l’ingranaggio sono letteralmente incastrati e hanno bisogno di più decisione. Con un cacciavite e tanta pazienza ho staccato dal coperchio e dall’interno dei carrelli i pezzi di pasta che lentamente si stavano ammorbidendo, continuando a lavare ripetutamente. Pian piano riacquistavano colore e movimento le boccole e gli assi dei carrelli. Terminata la pulizia delle ruote ho provveduto ad asciugare con aria compressa il tutto. Ricordiamoci che non abbiamo bisogno di 4 bar di pressione: con la pistola aperta e direzionata FUORI dal pezzo da asciugare aprire lentamente il rubinetto dell’aria. E’ utile tenere sempre premuto il “grilletto” della pistola, in quanto se lo rilasciamo si accumula pressione nel tubo e appena lo ripigliamo spara forte. E’ giunta l’ora della scatola ingranaggi, quella che esce verticalmente dal carrello anteriore. Si apre svitando quattro vitine sottili e dividendola lungo la verticale (a mò di uovo di Pasqua). Dentro ci sono quattro ingranaggi in presa, il più basso collegato alla vite senza fine a contatto con l’asse motore gommato. Tutto quanto perfettamente inchiodato.
Anche qui con pazienza pennello e acquaragia, ho ammorbidito il tutto e ho tolto gli ingranaggi dalle loro sedi un pezzo alla volta. Scrostato il monoblocco ci si rende conto dei molti pezzi racchiusi dentro la scatola: vale la pena segnarsi la posizione prima di togliere tutto: gli ingranaggi ruotano su un alberino di acciaio e sono allineati nella sede con due piccole rondelle, una per lato. Il primo e l’ultimo girano su boccole sferiche di metallo forate in centro. Una volta finito il lavaggio e l’asciugatura come descritto sopra, ho oliato tutte le boccole e gli alberini degli ingranaggi, rimontato tutto e richiusa la scatola. Ho provato il funzionamento prima a mano, girando nelle due direzioni uno dei due “bicchierini” che ricevono l’albero di trasmissione, constatato che aveva ripreso a funzionare senza attriti o puntamenti ho appoggiato uno dei due alberi al bit a taglio che avevo sul miniutensile e l’ho fatto girare alla velocità più bassa per qualche istante, per rodarlo un po’ prima di montarlo. Se qualcosa non deve andare è meglio adesso che da montato! Non rimane che riassemblare i carrelli. Qua bisogna fare attenzione a un po’ di cose: assicurarsi di posizionare bene le linguette di rame e le molle presenti dentro il fusto dei carrelli, incastrare e allineare bene le boccole degli assi nelle sedi opportune: hanno un verso: le parti non tondeggianti delle boccole vanno inserite verticalmente nelle loro guide corrispondenti, per permettere il movimento verticale dell’asse. Mantenere la calma: le linguette spingeranno fuori sede gli assi e le boccole non appena avete finito l’allineamento, a ripetizione. Attenzione anche ai cilindretti laterali molleggiati: nel sistemare gli assi far rientrare le loro teste all’interno del bordino delle ruote; diversamente si rischia di torcerli! Una volta ingrassate le boccole con un pizzico di lubrificante “normale” si può provvedere a richiudere il fondo rosso e a reinserire nel giusto verso la scatola degli ingranaggi, riavvitata nel fondo con le due vitine nere.
Ricordiamo di posizionare la vite grigia con molla prima di chiudere il coperchio!
Riprovare sempre ad ogni passaggio il funzionamento meccanico e verificare che non “punti” o si indurisca nulla durante il rotolamento. Ora è possibile rimontare le balestre nel fondo. Non aspettiamoci che girando l’alberino della scatola le ruote girino per inerzia: la cascata di ingranaggi e viti senza fine ci sono e rimangono, di conseguenza anche gli attriti. La demoltiplicazione è molto efficace; ed è giusto che sia così: Non dimentichiamo che quella vera sviluppava più di1600 cavalli alla velocità massima di 50 km/h, era una locomotiva da montagna e per treni merci pesanti. Adesso ridiamo una forma alla locomotiva; riposizioniamo i carrelli nel sottocassa. Prima di tutto va riavvitata la piastrina di rame col filo che prende alimentazione dal carrello anteriore. IMPORTANTE: la linguetta va avvitata tenendo la parte dove è saldato il filo LATERALMENTE, in quanto se avvitato dritto tocca il metallo del gruppo distribuzione e cortocircuita i due poli, di lato tocca la plastica e non ci sono problemi.
Va poi reinserito l’albero lungo fra i due carrelli, posizionando correttamente prima dell’albero il biellismo (guardando un lato della macchina, un carrello con le bielle giù e uno con le bielle a un quarto di giro, l’altro lato si comporta di conseguenza). Adesso possiamo riavvitare i carrelli al sottocassa tramite le viti grigie con molle e per finire reinserire l’alberino corto che unisce la scatola ingranaggi con il motore. Provare a questo punto a girare il volano del motore, dovremmo vedere muovere tutta la trasmissione e le ruote. Provare, continuando a girare il volano, anche a far ruotare i carrelli, in modo da sentire se tutto scorre come deve. Se finora è andato tutto bene facciamo la prova di marcia. Mettiamo la macchina sul binario e diamo corrente prima in un verso poi nell’altro. Prima di rimontare la cassa, ipotizzando che in precedenza non fosse mai stato fatto, ho preferito oliare con la punta di uno spillo anche la bronzina dell’albero motore, scorre meglio e si sente! (anche dal numero di giri). Adesso posso fare il collaudo sui due metri di binario (e curve e scambi).
IL COLLAUDO
La macchina è rimasta piuttosto rumorosa, (in confronto a locomotive non articolate) ma considerando quanto metallo gira quando la mettiamo in moto non deve meravigliare. Il motore da solo come organo, nella sua rotazione è silenzioso (nelle locomotive Liliput sono rumorosi già i motori!). La trasmissione è fluida, e non ha incertezze né in rettilineo né in curva né alle alte o alle basse velocità. La velocità di punta adesso è (non volutamente) più alta di quando l’ho acquistata, gli attriti complessivi sono sicuramente minori e questo già le permette di mettersi in moto con meno corrente di prima. È migliorata anche la conduzione elettrica, prima le ruote facevano molte più scintille e si annerivano conducendo sempre meno, segno di dispersione di corrente. Adesso tutte le parti metalliche conducono perfettamente e non hanno più impedimenti per il passaggio della corrente.
CONSIDERAZIONI La conservazione del modello in un ambiente con sbalzi termici considerevoli (sottotetto, fino a 10 gradi in inverno e 45 in estate) seppur asciutto, pulito e al buio ha influito negativamente sul comportamento del grasso Rivarossi utilizzato in questa macchina. Le altre, conservate nella stessa teca, non ne hanno risentito minimamente nonostante l’ugual periodo di inattività. A parte il grasso maledetto che ha bloccato la trasmissione e rischiato di bruciare il motore, la qualità costruttiva è paragonabile se non migliore a quella di tutte le dirette concorrenti di Rivarossi: gli ingranaggi TUTTI di metallo, come tutte le boccole e le viti senza fine, la trazione mediante biellismo su tutti gli assi motori e il cinematismo completo, i ceppi dei freni aderenti alle ruote come al vero, sono il biglietto da visita del made in Italy di qualità. Nel complesso è una macchina spettacolare sotto il punto di vista statico e altrettanto nel suo funzionamento; è veramente gustoso vederla snodarsi, contorcersi e riallinearsi, nonostante la sua mole possente, il tutto mantenendo una uniformità di marcia notevole. Chissà che spettacolo doveva essere dal vero. La trazione su 8 assi, anche se con solo una ruota gommata per carrello, è realmente efficace, complice anche la zavorra, adeguata alle prestazioni della macchina. Un giorno di lavoro dedicato a lei e al suo mantenimento direi che se lo è meritato tutto. Peccato la grossolana sbavatura nell’alberino lungo in plastica, un particolare che non capisco come possa essere passato inosservato ai collaudatori della casa di Como, ma una mela marcia su un albero di mele sane si perdona! Eccome! |