L’ITALIA DEI TRENINI PERDUTI
LA DITTA “ORESTE CICCHETTI & C.”
(di Gabriele Montella)
Si diceva trattando della Conti CO.MO.G.E. come nel 1960 la Ditta “Oreste Cicchetti & C.” avesse rilevato il ramo d’azienda relativo alla produzione dei trenini elettrici. Titolare di quella Ditta era Luciano Cicchetti, figlio del fondatore Oreste che nei primi anni del secolo scorso aveva aperto un negozio di giocattoli in Milano all’inizio del Viale Vittorio Veneto, dal lato di Porta Venezia. Quel negozio, passato via via di mano tra vari commercianti, è aperto ancora oggi sotto diversa insegna e sarebbe interessante trattarne la storia ormai secolare perché sarebbe la storia dell’industria del giocattolo, italiano e non, attraverso tutte le sue fasi fino alle ultime tecnologie. Alla fine degli anni ’30 Luciano Cicchetti, subentrato al padre, decise di passare anche alla produzione di giocattoli di vario tipo acquistando poi notorietà soprattutto per le armature per bambini. Erano talmente ben fatte che una parte della produzione era destinata a vari teatri italiani per le rappresentazioni in costume. Rilevata la Conti la Ditta Cicchetti per qualche tempo continuò la produzione presso lo storico stabilimento di Bollate ma presto si accorse che l’arretratezza delle attrezzature avrebbe impedito il rilancio di quel Marchio che stava avviandosi al declino. Tutta la produzione venne quindi trasferita in un moderno stabilimento a Milano in via Biumi , dalle parti di Viale Padova. L’operazione di rilancio del Marchio parve riuscire anche grazie al famoso “Settebello” la cui progettazione risaliva agli ultimissimi anni della vecchia gestione ma la piena messa in commercio previa una sapiente pubblicità fu merito della nuova. Non a caso in quel periodo per due volte venne attribuito alla Conti il premio del “Pinocchio d’Oro”, considerato l’Oscar dei produttori di giocattoli. Sempre di quel periodo è la produzione in serie limitatissima del “Settebello” in versione completa di sette elementi di cui uno donato al famoso baritono Gino Bechi, presidente della F.I.M.F.: vuole la leggenda che con quel regalo il Cicchetti avesse inteso porre fine ad una vivace polemica col baritono che in occasione di una popolare trasmissione televisiva aveva tessuto le lodi di una impresa concorrente (Rivarossi?).(Vedere in merito la nota di Carlo Costamagna) Nonostante questi successi il Cicchetti ben si era accorto che il vento stava cambiando perché quel mercato del trenino, che già stava progressivamente riducendosi per la comparsa delle “autopiste” elettriche, sarebbe presto divenuto proibitivo per la produzione “Conti” fatta esclusivamente in costosa pressofusione. Decise quindi di presentare al mercato un prodotto interamente originale chiamato “Jolly”.
La scelta di questo nome, in realtà poco consono per un modellino di treno e che parrebbe rifarsi come il Settebello al mazzo di carte, ha una storia diversa riportata nello splendido libro di Carlo Costamagna sulla produzione “Conti”. Nel nuovo stabilimento di via Biumi c’era un cortile dove vivevano due cani di razza pastore tedesco, entrambi maschi così che talvolta si azzuffavano. Ebbene uno si chiamava Jolly e l’altro Poker ed era immediata l’assonanza col ben noto Pocher produttore concorrente di trenini. Di qui la scelta del nome del suo antagonista nella quotidiana lotta per il possesso del cortile, che era il loro “mercato”. A parte gli scherzi non poteva esserci concorrenza tra il “Jolly” e la raffinatissima produzione Pocher e il Cicchetti ben lo sapeva. Nemmeno poteva esserci concorrenza con la Rivarossi, ormai leader del mercato italiano con una produzione di sempre più alta qualità, e quindi il concorrente di riferimento non poteva essere che la Lima che dalla fine degli anni ’50 Ottorino Bisazza aveva improntato alla filosofia per cui bastava abbozzare alla buona un locomotore per poi concentrarsi sull’impatto dei vagoni che dovevano essere colorati e attraenti. Questa filosofia è tutta presente nel “Jolly” ove un locomotore in versione ultrasemplificata del BB 9200 SNCF realizzato in plastica stampata, con carrelli appena abbozzati, senza fari né tanto meno captazione dalla catenaria, veniva proposto al traino di una carrozza di seconda classe “verde vagone” (una colorazione che le FF SS avevano ereditato dalla Rete Adriatica, abbandonata però fin dal 1935) e di una carrozza di prima classe di una improbabile bicolore rosso- giallo ocra. Non mancavano però particolari interessanti come i raffinati pantografi (che erano infatti quelli montati sull’ E424 Conti) e, sulle carrozze, i carrelli derivati da quelli montati sulla serie CIWL e i maniglioni per l’abbassamento dei finestrini. Anche le rotaie erano “Conti” dell’ultimo tipo, con basamento e traversine in plastica nera e rotaie a profilo sagomato su lamina di metallo nichelato con attacco a baionetta. Nelle intenzioni di Cicchetti il “Jolly” doveva essere l’ inizio una produzione di modelli economici che si affiancasse a quella “Conti” destinata ad un mercato abbiente perché sempre più costosa.
(immagini di una confezione Jolly-Cicchetti per cortesia di Luciano Luppi) Evidentemente il progetto non raggiunse l’obiettivo perché la produzione di modelli di seconda fascia non ebbe seguito e quella “Conti” si ridusse sempre più fino a diventare semplice assemblaggio di residui di magazzino fino a cessare nel 1969. La Ditta Oreste Cicchetti & C. cessò anch’essa pochi anni dopo.
Nota di Carlo Costamagna * Venendo allo specifico della produzione Cicchetti occorre puntualizzare che il Jolly fu l'esperimento d'entrata per la vagheggiata e mai attuata riconversione della produzione ex-Conti da metallo a plastica. La macchina francese in foto non fu l'unico modello prodotto, anche se è l'unico reperibile. Infatti ho una foto di fabbrica in cui nel campionario esposto si vede anche un Santa Fe. Il Jolly utilizzava il normale armamento Conti per c/c in produzione già dalla metà degli anni '50. I motori delle macchine Jolly erano di nuova concezione, molto spartani ed economici, più una versione, anche senza ingranaggi e trasmissione ad elastico direttamente su uno degli assali del carrello motore. Ciò non ostante il motore rendeva bene e durava. La parte disastrosamente carente erano però i carrelli (sia quello motore che il folle) realizzati completamente in sottile zama e grossolanamente rifiniti con estetiche di plastica. Se il mantello della macchina era quasi all'altezza dello stesso modello di Lima o Favero, anzi i pantografi erano migliori -cioè quelli Conti-, le carrozzerie erano davvero grossolane. Del resto l'impressione è che non si intendesse competere ad alto livello, ma semplicemente guadagnare una fetta della base della piramide del mercato con un prodotto molto economico. A Chicchetti deve esser riconosciuto il merito storico (e stoico) di aver continuato una produzione, quella Conti, ormai controcorrente rispetto ai tempi e tuttavia ancora richiesta, tanto che i quantitativi fabbricati furono considerevoli, tra cui la gran parte del famosissimo Settebello. * Carlo Costamagna, autore del libro "Ferrovia elettrica Conti, Bollate, storia e produzione" 2006 |