Paolo Lavarda: dieci anni in Lima
Parte Terza 26 - E arrivava febbraio, mese di Fiere. Milano, Norimberga in successione. Chiudeva una e subito apriva l’altra. Chi smontava una fiera e doveva montare l’altra doveva letteralmente fare i salti mortali. Gli stand della Lima erano sicuramente tra i più belli e grandi delle fiere e sicuramente il più affollato durante il pranzo. Sì perchè Lima aveva sempre il bar, con praticamente un mini ristorante, dove tutti arrivavano dalle 12 alle 14. Spuntini, tartine, paninetti, pasta calda e fredda, bocconcini vari. Un modo per fare anche affari? La speranza era quella. Gli imbucati comunque non mancavano anche di altre ditte, che chissà perchè a quell’ora facevano un giro per “vedere la collezione”, farsi riconoscere e farsi invitare, l’ospitalità non mancava in Lima! Io andavo di rado in Fiera, non avevo un ruolo da fiera. Però poteva succedere che qualcosa di pronto all’ultimo minuto, un catalogo, un listino o una novità, necessitasse di essere portata di fretta in fiera, allora Paolino partiva. Capitò anche che, qualche cliente speciale venisse in fiera per creare delle confezioni e di conseguenza occorreva chi facesse prezzi e referenze, e così veniva programmata anche la mia presenza di qualche giorno. Così andai in fiera a Milano per alcuni giorni e anche in fiera a Norimberga. Bello l’hotel dove alloggiavo, la Lima ti trattava bene ma, chiaramente non era lo stesso dove alloggiavano i boss, quelli erano super lusso e lontani da occhi indiscreti, i nostri! Quell’anno Lima fece un ricevimento fantastico al Biffi di Milano, personalità e personaggi oltre ad agenti e clienti importanti. Noi eravamo ovviamente di corollario e di servizio perchè tutto si svolgesse al meglio, omaggi compresi. Ma anche per noi esistevano momenti di divertimento; alcune sere erano libere e allora chi dovevamo seguire per divertirci al meglio? Ma lo spagnolo naturalmente! Josè Aurò Ferrer, lui si che si sapeva divertire, anche se non nei modi a cui io ero abituato, comunque era un modo per stare tutti in compagnia e ridere. Tappa d’obbligo il night Smeraldo, dove la parola più pronunciata da Aurò era “Mira, mira , mira!!!!” con tanti punti esclamativi. Con Aurò non si spendeva mai nulla, anche se non credo costasse molto la mia Coca Cola. Mitico il racconto delle sue notti in Cina e sulle sue certezze sul fatto che le donne orientali preferiscono gli occidentali agli indigeni. Era praticamente il rito di iniziazione di Milano!
27 - Mentre i riti di iniziazione di Norimberga erano ben diversi! E si la fredda Norimberga e il Victoria Hotel dove qualche mio collega non capiva il funzionamento del piumino (che da noi non si usava) e delle finestre alla tedesca. Per lui era troppo corto perchè non riusciva a stare dentro con i piedi (lo lasciava piegato e non lo apriva) “e le finestre come cavolo si chiudono? Stanotte mi è nevicato sui piedi, ho avuto un freddo della madonna!” Ed era uno che non beveva! Appunto i riti di iniziazione di Norimberga erano diversi. C’era quello che ti faceva Paolo ed era andare a mangiare la Karfen (la carpa), che al ristorante veniva presa dalla vasca al momento, grassa!! Io non mangiavo pesce allora e per pura fortuna mi sono evitato l’iniziazione, altro che neve sui piedi! L’altra era quella che ti riservavano i colleghi: “Stasera andiamo a mangiare all’Opatia, ristorante yugoslavo”. Era tutto buono ma il clou, per il malcapitato di turno arrivava con la carne! Ed ecco là i maledetti! I peperoni sottaceto. Quell’anno venne Roberto, tipografo che aveva portato dei listini all’ultimo momento essendo stato in ritardo, diciamo così, tutti ambivano a farsi qualche giorno in fiera e a Norimberga c’erano di quelle viuzze con molte attrattive, in codice denominate “giostre”, così mi raccontavano e non ho appurato. Ecco là il malcapitato che mette in bocca i peperoni, una bomba atomica in bocca, e no non puoi sputare, mangia tutto che ci fai fare brutta figura! “Buoni, non sono neanche piccantissimi”, e giù un altro con una birra. Ma lo si aspettava alla mattina all’uscita dall’albergo per andare in fiera e lo si guardava bene in faccia con mezzo sorriso che voleva dire “ e allora?”. Il più delle volte la risposta era con un movimento di mano con gli occhi sbarrati che stavano ad indicare che i bruciori peggiori erano stati alla mattina al risveglio!! Vi risparmio i particolari! A Norimberga ci giunsi in treno con un altro collega “esperto". Nella coincidenza prendemmo il treno all’incontrario! Fabbricanti di treni in miniatura!!!! La seconda volta andai da solo, molto meglio! Provai l’esperienza della precisione delle ferrovie tedesche! Mi lasciò sempre sconcertato il colore di Norimberga città. Abituato alle nostre pietre bianche, entrare in un mondo dove domina il grigio scuro mi metteva a disagio. Chissà se adesso che sono viaggiatore mi colpirebbe allo stesso modo. Certo che vedere uno stand della Lima, sia a Milano che a Norimberga era uno spettacolo. Erano ancora i tempi che tutti competevano per avere lo stand migliore , il più luminoso, quello che richiamava più operatori del settore e non. Insomma avere lo stand sempre pieno e in questo Lima ci riusciva appieno!
28 - E’ Natale. E come tutti gli anni si prepara la festa per il discorso del Presidente in sala montaggio, sia a Vicenza che a Isola Vicentina. Il discorso era bene o male sempre lo stesso ed esordiva, con sottofondo del coro muto del Nabucco di tutti gli astanti che, conoscevano già a memoria i vari passaggi del discorso: “E anca sto anno, ben o male semo arrivà in fondo ( e anche quest’anno bene o male siamo arrivati alla fine). Abbiamo lavorato molto e siamo soddisfatti dei risultati ma c’è ancora molto da fare. Abbiamo comperato macchine nuove, (e il coro “ si quele de to fioli”)......... tanti tanti auguri. Seguivano le premiazioni di chi compiva 20 anni di servizio, ai quali era riservato un orologio, questa era una bella cosa! Come in tutte le fabbriche che si rispettino seguiva il brindisi e il panettone. Poi veniva consegnato il pacco che, ogni anno, lamentava la mancanza di qualche unità all’interno rispetto all’anno precedente. Sentivo racconti degli anziani che, favoleggiavano pacchi degli anni 60 mirabolanti, mai ricevuti, solo il primo anno aveva qualcosa di particolare a parte panettone, bottiglia, torrone. Chiaro, noi impiegati avevamo qualche vantaggio dal contatto con i fornitori in tema regali natalizi, erano accetti e praticamente una tradizione e sicuramente, per quanto riguarda il mio caso, non si configurava certo all’epoca un tentativo di corruzione, le bottiglie facevano contenti i miei che potevano far vedere che sotto l’albero c’erano le bottiglie dei fornitori del figlio, un vanto!
29 - Il 1978 fu l’anno in cui rischiai di dovermi trasferire in Austria. La Lima in quegli anni era in procinto di acquisire una ditta di binari in Austria, mi sembra legata a Garnet. E qui mi scuso, mi sfuggono alla memoria i nomi di tante persone e anche come si chiamasse la ditta, mi sembra Ghemi, ma non ne sono sicuro, dovrò sentire qualche altra memoria storica della Lima. Un giorno venni convocato nell’ufficio del rag. Conchetto e vi trovai anche il Presidente ing. Ottorino, che mi chiesero disponibilità per fare alcuni viaggi in Austria ed eventualmente recarmi anche a lavorare in Austria per condurre la fabbrica in acquisizione. Acconsentii. Il primo viaggio lo facemmo io e Bepi assieme a Paolo Bisazza. Partimmo da Verona col treno letto di mezzanotte e si arrivammo a Wiener Neustadt alle 8 di mattina, io stanco , perchè in treno riuscivo a malapena ad appisolarmi, infatti Paolo mi aveva consigliato il suo metodo. Seduti tutti e tre nello scompartimento di Paolo, alla sera per le ultime raccomandazioni, lui in mutande ma con l’impermeabile addosso a mo' di vestaglia, mi consigliò la bottiglia di whisky che aveva in mano ma, io ero e sono astemio. Va ben lui ha dormito, io no. Con Paolo non era certo un modo di lavorare idilliaco, e tutti correvano anche gli austriaci, ben capendo che con Paolo c’era poco da scherzare. Il mio compito iniziale era quello di fare i calcoli aziendali e di costi di produzione e così cominciai ad esaminare i bilanci e il layout produttivo. Giuseppe invece doveva analizzare i processi produttivi e la qualità del prodotto. Dopo il primo viaggio, ne seguirono tanti altri in coppia con Giuseppe e da solo. 18 giugno 1978, mondiali di calcio, Italia contro Austria, e noi dove siamo? eh sì in Austria. Timorosi ci rifugiammo nel nostro hotel ma, al 14’ capirono subito che c’eravamo noi italiani in quell’hotel e soprattutto mi sa, che capirono che eravamo vicentini, gol di Paolo Rossi! Alla fine della partita, un operaio della fabbrica, italiano, prese la macchina e attraversò tutta Wiener Neustadt con bandiera italiana e il clacson a manetta! La rivincita dell’emigrato.
30 - I viaggi in Austria continuarono e chiaramente stabilii buoni rapporti di amicizia con i vari responsabili, Predl e altri. Le cose che più mi sono rimaste impresse sono stati gli stinchi di maiale e che in Austria sembrava quasi non esistesse l’acqua minerale ed ero costretto ad ordinare ein kleines Bier, che comportava la classica risposta del titolare della locanda “nur für Fräulein”. La birra non mi piace e mi fa girare la testa, però mi faceva dormire, quello sì. E poi, quella volta che Predl ci portò al Grenze, il vecchio confine, praticamente una baracchetta che vendeva prodotti tipici, lì, non era il peperoncino dell’Opatia, ma anche il salame di fegato ha dato del suo meglio per il mio palato delicato di allora. Una sera andammo anche a Vienna e mangiammo all’aperto con vista sulle torri di santo Stefano. Il ricordo di quel risotto allo champagne e ancora vivo ! Le cose sembravano che andassero tutte per il meglio, probabilmente avrei dovuto ripensare alle nozze dell’anno successivo o per lo meno organizzare la vita familiare. Ritornai alla Lima e praticamente stavo aspettando la convocazione e la data della mia partenza per Wiener Neustadt, e naturalmente non ultimo particolare, l’adeguamento retributivo. Venni convocato sempre in ufficio del rag Conchetto e vidi anche il Presidente. Mi venne comunicato che l’affare era saltato e che il mio trasferimento non ci sarebbe stato. Questo mancato affare non fu indolore per Lima, infatti per alcuni anni si dovette lo stesso sostenere l’azienda austriaca con considerevoli ordini, a costi superiori rispetto la produzione interna Lima, e non vorrei anche a livello finanziario siano stati compiuti sforzi per sostenerla. A mio avviso anche questo è stato un ulteriore tassello negativo nel puzzle della fine della Lima.
31 - Il lavoro che mi appagava di più era “fare i costi”. Lo chiamavamo così ma era molto di più, era sviscerare l’azienda, era fare una fotografia industriale attuale per proiettarla nel futuro. Il metodo era stato elaborato, penso dall’ing. Bisazza, sulla base del sistema in uso presso Marzotto. Praticamente era un bilancio consuntivo, sezionato in centri di costo e ancora più sotto, in singoli macchinari, singole lavorazioni o altri passaggi produttivi, i vari centri di costo commerciali e amministrativi e del personale. Insomma da lì si partiva per costruire il budget per l’anno successivo e riformulare i costi dei vari passaggi, analizzando anche se, attuando dei cambiamenti o migliorie nei macchinari, si potessero ottenere dei vantaggi di tempi e costi. Chiaramente eravamo ancora nei tempi in cui il computer non faceva ancora tutto questo, e all’uopo si redigevano dei quadernoni, copiandone la traccia dall’anno precedente lasciando in bianco gli spazi da riempire con i dati consuntivi e preventivi. Sembrerà strano ma, 40 anni fa, non esisteva il copia incolla, Il computer era ancora il bestione che non faceva poi così tanto. Riusciva ad elaborare una distinta base e calcolare il costo di un pezzo di una fase di lavorazione, ma trovare il costo di quel passaggio, di quella macchina, di quell’operaio, di quel reparto, era compito allora arduo in quanto il computer non era elastico. Stavano spuntando i primi videoterminali con cui dialogare direttamente con il cervellone centrale, ma sempre su maschere molto rigide e non modificabili, non plasmabili, come richiedeva questo lavoro. Cominciai solo col copiare i quadernoni, mentre il “fare”, il decidere, veniva dalla grande esperienza di Silvio e con la collaborazione tecnica di Dante. Quando era il momento si lavorava anche fino a tarda notte, quando non c’era nessuno che rompeva! Silvio mi lasciò entrare velocemente in quel mondo che capii subito era il mio mondo, mi diede fiducia, capì che quel lavoro mi appassionava!
32 - Per quanto i nostri calcoli e previsioni fossero esatti, c’era un dato che non decidevamo noi, che era appannaggio dei responsabili commerciali Italia e Estero. Quei due dati determinavano il fattore di divisione delle spese generali, ma mi vien da dire che il più delle volte, anzi direi sempre, erano sparate a caso, mai determinate da un razionale calcolo dovuto a interpelli dei vari agenti e rappresentanti con relativi loro impegni a vendere. Potevi essere il miglior interprete della materia costi industriali ma, poi tutto finiva in mani non adeguate che ne vanificavano ogni senso. Per fortuna i quadernoni parlavano chiaro! Un po’ alla volta e non appena sul mercato si affacciò il Commodore 64, per conto mio elaborai, con le nuove conoscenze di programmazione in Basic che acquisii, quei quadernoni per ricavarne dei metodi che potei sfruttare nella professione che mi andavo a creare: portare ad aziende, piccole e medie, quel lavoro che nessuna scuola insegnava! A seguito di questi controlli, mi accorsi ad Aprile, in un anno fortunato, che l’utile a fine anno sarebbe stato molto, ma molto elevato, dovuto anche a cambi molto favorevoli. Avvisai un consigliere di amministrazione che, per tutta risposta, mi disse che non erano affari miei. Misi i miei calcoli in bella mostra sulla lavagna in ufficio con data e risultati da me attesi e relativa risposta ottenuta. A metà dicembre, bilancino di controllo all’esame del consiglio di amministrazione; il Presidente trasalì! Riunioni urgenti e a margine la domanda solita rivoltami dal Presidente, se avessi avuto sentore di tutto questo. Risposi che io, pur non essendo mio compito e lavoro, avevo fatto notare “l’anomalia”, ma che la risposta fu ben chiara e che io oltre non potevo andare, avvisato, avevo avvisato. Mostraii i miei conteggi con l’annotazione della data di comunicazione. Il Presidente ebbe ulteriore conferma di tutti i suoi dubbi e sulla sua solitudine alla guida dell’azienda! In fretta e furia furono fatti acquisti a più non posso di macchinari, megacomputer nuovo, auto nuove (ovviamente), il tutto con fatturazione anticipata al 31 dicembre per sfruttare gli ammortamenti e diminuire così le imposte.
33 - Ogni tanto le riunioni venivano organizzate in “esterna”, con particolare punti di incontro le abitazioni del Presidente a Padova e a Jesolo. A Padova la casa era una villa immersa in un piccolo parco nel quartiere della S.S. Trinità. Naturalmente, per un sempliciotto come me, la prima cosa che ti colpiva era il cameriere con i guanti bianchi. La disponibilità e la gentilezza di chi ci ospitava era proverbiale. La Signora Bisazza e il Presidente erano persone eleganti che sapevano essere i signori! A Jesolo c’era quello che non ti saresti mai aspettato e che ti avrebbe lasciato a bocca aperta. Una villa di campagna immersa nel parco, ma quello che ti stupiva di più era tutto intorno. Campi e stalle a cui facevano confine i canali di Jesolo. La tenuta si girava in auto e ci fu fatta vedere l’ultima stalla costruita con all’interno 500 torelli, (uno per ogni dipendente? Boh? Non ho appurato se uno si chiamasse Paolino). Non so bene quali fossero confini di tutto questo, ma da voci raccolte, in uno degli appezzamenti è stata costruita Acqualandia. Si racconta ma, non ho potuto appurarlo di persona, che una delle auto per girare la tenuta, fosse la 600 scappottata, con i sedili in vimini, con la quale alla fine degli anni 50, gli Agnelli giravano per la costa Azzurra. Non so se fosse la stessa ma , così si raccontava. In ogni caso, se volessimo quantificare il valore, una “spiaggina” così, non quella degli Agnelli, nel 2014 veniva battuta all’asta per più di 100.000 euro! Le proprietà erano sicuramente molte anche all’estero, si sentiva parlare di Sud Africa e Australia, zone di caccia di Paolo. I preparativi per le partenze per la caccia erano periodo di stress per Giovanni. Preparare le liste del vestiario. “due calzini, due canottiere, due mutande……”evidentemente bastavano! Il problema era quando si arrivava alla parola “pallottole DumDum” e riuscire in qualche modo farle imbarcare in stiva da Alitalia! Di tutto questo non esiste più nulla. Non di certo il primo tracollo fallimentare di Lima è stato un fallimento in cui i titolari siano riusciti a fallire con i soldi. Sicuramente no! La ripercussione sul patrimonio, degli amministratori, da quello che ci è dato sapere, è stato totale, pertanto va dato onore anche a questo!
34 - E’ il 1983 e la crisi del mercato del treno ma , in generale dei giocattoli come li avevamo conosciuti noi, era cominciato. Lima cominciava a prendere le prime contromisure, che ahimè non risultarono così efficaci. Mi sembra di ricordare ma non l’ho visto realizzato, un treno che si trasformava in aereo o qualcosa di simile. Noi guardavamo e capivamo che era una cosa invendibile. Infatti quelle erano solo le prime avvisaglie del cambiamento epocale, si trattava solo di qualche auto o altro radiocomandati, dovevano ancora venire i videogiochi o altri giocattoli tecnologici o influenzati dallo show business creato da cartoni animati e altro! Pertanto stava avanzando anche una crisi strutturale delle aziende. Le innovazioni tecnologiche che stavano arrivando sempre più prepotenti, richiedevano sempre più personale in grado di gestire la tecnologia e i dati che ne scaturivano e di conseguenza diminuiva la necessità di operatori comuni. Anche Lima ne risentì di questa ondata di novità. L’elaboratore elettronico sempre più capace, anche se non arrivava minimamente alle capacità di un nostro smartphone, sputava fuori dati che andavano analizzati, studiati, capiti. Non c’era più bisogno del passacarte e compilacarte. Arrivavano gli ordini via posta e venivano direttamente inseriti con videoterminale. A me non piacevano i buchi di lavoro e con sommo piacere di alcuni colleghi, “rubavo” loro il lavoro di inserimento ordini, lavoro che mi serviva anche per capire meglio l’andamento degli ordini prima ancora della esplosione in batch di ogni 15 giorni. Praticamente , così facendo, scrutavo gli ordini e potevo intervenire prima sulla produzione. Chiaramente, tutti gli uffici risentirono di questo cambio epocale, il lavoro era diminuito in ogni settore. E se ne accorsero anche gli amministratori. In una riunione di inizio ottobre, all’ordine del giorno c’erano le misure da attuare per combattere la crisi e il surplus di personale. Si sapeva da giorni che ci sarebbe stata questa riunione con conseguente decisione e l’aria era diventata veramente pesante. Ci si guardava un po’ tutti chiedendosi cosa sarebbe successo?
35 - Partecipai a quella riunione tra i vari responsabili, a cui non partecipò il Presidente. Io ero lì ma non dovetti prendere alcuna decisione, non avevo sottoposti, anzi ero un po’ preoccupato anche per me, però mi ero creato la mia via di salvezza con la mia capacità di fare i costi industriali. Grazie a tutte le riunioni e conferenze che avevo tenuto in Associazione Artigiani, avevo speranza di creare uno studio mio di consulenza. La decisione fu di licenziare 10 impiegati e compilata la relativa lista dei nomi. Ovviamente la consegna era di non parlare di questa cosa. Quel giorno però ci fu chi parlò della riunione ad alta voce in mezzo ai corridoi, vantandosi della decisione dei 10 licenziamenti, ma senza far nomi. Chiaramente fui in qualche modo contattato dai miei colleghi sull’esito, ad alcuni potevo dire stai tranquillo, ad altri purtroppo dovevo dire che non si sapeva ancora nulla di preciso! Dentro di me però balenò l’idea che dovevo far qualcosa, io avevo una alternativa, io potevo andare via, io potevo liberare un posto e salvare almeno uno di quei posti di lavoro, tanto o prima o poi l’avrei fatto, e ero già sicuro che l’andamento che vedevo nelle mie statistiche era così negativo che non poteva essere l’unica misura che avrebbe dovuto prendere Lima per salvare l’azienda. Decisi! Presentai la mia lettera di dimissioni, prima al direttore amministrativo rag. Paolo Conchetto, poi fui convocato in ufficio da Paolo che mi confermò che io non c’ero nella lista. Lo so bene dissi ma, io posso trovare lavoro, mentre quasi tutti quelli della lista no, perché troppo anziani o non qualificati per i cambiamenti che stavano avvenendo nel mondo. Così facendo conto di salvare un posto di lavoro per loro. Non fu presa molto bene la mia decisione, anche perché venne a conoscenza del fatto il Presidente che, si affrettò, nonostante le sue sempre più precarie condizioni fisiche, ad indire una riunione a Vicenza. Non partecipai a quella riunione ovviamente, ma non ci fu bisogno di essere presenti per sentirne “gli echi”.
36 - In sostanza il Presidente gridò che non si poteva sbandierare ai 4 venti le così delicate decisioni prese in riunione e che così facendo avrebbero assistito ad una emorragia delle persone che potevano andarsene perché, avrebbero trovato porte aperte in altre aziende sapendo che provenivano dalla Lima. La decisione fu revocata e i 10 licenziamenti non si fecero. Non so se tutti i miei colleghi conoscano questa storia, ma di quelle che vi ho raccontato qui, è la meno romanzata e quella che si attiene di più ai fatti. E’ anche però l’unica cosa che contesto al Presidente ing. Ottorino Bisazza: quei licenziamenti andavano fatti, non c’era scelta! Ma tante volte entra in gioco anche l’onore personale e l’amore (lasciatemi passare il termine sicuramente non corretto) verso le persone che dipendono da te. Questo amore, questo attaccamento l’ho vissuto in prima persona dopo la fine del mio lavoro in Lima, quando passai dall’altra parte della barricata. Quando tutte le mattine passavo per le postazioni di lavoro dei miei ragazzi e chiedevo loro come stavano, come stavano moglie e figli, e dovermi ricordare i nomi e se il giorno prima il figlio aveva la febbre di domandargli se era passata. Certo si potrebbe dire che questo è tempo perso ma, non è così. Quello che ricevi in cambio anche sulla quantità e qualità del lavoro è immensamente più grande, anche sulle rivendicazioni di ogni tipo! Lo posso provare ora che sono in pensione con le continue testimonianze d’affetto che ricevo, non più da dipendenti ma da amici! La felicità passa anche di qui, da come ti interfacci con le persone, da come ti apri, da cosa consideri per lavoro e da come lo ami!
37 - Di alcuni colleghi che non ci sono più ho già parlato nei vari capitoli, di altri volevo fare un piccolo ricordo. Quei colleghi che ricordo e che so, purtroppo di altri presuppongo, vista l’età che non ci siano più. Luciano, un anno più vecchio di me, affiancò Dante per la gestione di tutti i nuovi dati che uscivano dal computer, pertanto seguiva le scomposizioni che derivavano dai miei lanci di produzione. Carissimo, semplice amico. Mi chiese di fare le foto del suo matrimonio e che andava bene tutto quello che veniva, non so quante cavolate io abbia fatto, sicuramente non avevo l’attrezzatura adeguata. Grande appassionato di ciclismo, ci hai lasciati così qualche anno fa all’improvviso. Così anche Lorenzo, il nostro rosso, anche se di capelli per mostrare il rosso ne aveva ben pochi. Disegnatore dal tecnigrafo al computer, non ho saputo che ci avevi lasciati, ma tanto tu il funerale manco l’hai voluto! Francesco, anima bizzarra e artistica. Anche se quando ti ho conosciuto non eri già più dipendente Lima, lavoravi alla realizzazione di plastici, modellini in scala ed eri fotografo, insomma mani d’oro! Mi ricordo quella volta che entrai a casa tua e in mezzo a una sfilza di LP Jazz e rock, sulla parete faceva bella mostra un poster in seppia che riproduceva, però con te e i tuoi amici protagonisti, la copertina di DejaVu dei CSNY, un mito!!! Anche Paolo Conchetto ci ha sorpassato nel tornante della vita, era un buono, un padre di famiglia! Così come lo era Orazio, finto burbero per la posizione che aveva di responsabile del personale e interfaccia sindacale dell’azienda, una posizione poco invidiabile che richiedeva non pochi salti mortali
Ottorino Bisazza 38 - I miei ricordi si interrompo con il 31 dicembre 1983, si proprio 31 dicembre, in quanto, per terminare i listini e permettere ai miei colleghi di fare le ferie natalizie, io andai a lavorare fino al 31 dicembre, quando potevo terminare tranquillamente prima e tutto sommato potevo disinteressarmi benissimo dei listini Lima! Iniziai una nuova avventura, che in parte sì, era collegata con i costi industriali e la mia voglia di aprire uno studio di consulenza, ma dall’altra, vedeva la richiesta di un mio collega, Silvano Spiller, di mettermi a sua disposizione per un anno. Infatti lui aveva una partecipazione nell’azienda dove aveva lavorato prima e la socia, che seguiva la fabbrica, avrebbe partorito di lì a qualche giorno. Accettai e li rimasi dal 1984 al 2016 con anche una piccola partecipazione societaria. Perchè racconto questo nella storia della Lima? Perchè nel 2004 Lima chiude definitivamente e viene ceduta al perfido albione per gli 8 milioni di euro ricordati anche su Wikipedia. E la cordata vicentina? Eccovi servita la risposta, il capofila era Silvano che non potè portare a termine la sua impresa per la decisione del giudice, nonostante l’impegno fosse quello di salvare i posti di lavoro. E da qui la decisione di partire ex novo, di 18 ex dipendenti, tra cui Silvano ed io, con una nuova ditta, la ViTrains. Fu la volontà e l’amore che spinse a compiere questo gesto, l’amore per la tradizione del trenino a Vicenza e la volontà che questa tradizione non fosse perduta. Così facendo si salvarono posti di lavoro compiendo enormi sacrifici e anche perdite monetarie per poter realizzare questo sogno d’amore. Le famiglie furono salve e quasi tutti ormai hanno raggiunto il pensionamento, che non era una preoccupazione da poco per tutti. Silvano è ancora là che conduce e che cura questo amore, nel ricordo anche del padre Angelo, primo impiegato della Lima. Forse qualcun altro scriverà la storia di ViTrains, o della CMP Industrie proprietaria del marchio ViTrains, non certo io, anche perchè le storie si scrivono perché c’è una fine e spero che questa sia estremamente lontana e fuori dai limiti delle nostre età. Paolo Lavarda Le immagini sono tratte dal libro di Leone Neri "Lima il treno nasce così" edito da Lima SpA senza data ma databile al 1968 |