Una visita allo stabilimento Rivarossi di Como, nel 1974
(di Antonio M. )
Io ho realizzato due sogni che mi parevano impossibili: guidare un 428 ed entrare nello stabilimento della Rivarossi. Un macchinista benevolo, commosso dall'attenzione di un bambino di nove anni, mi fece salire sul "suo" 428 prima serie ed azionare la grande leva dentata: il treno lo feci partire io e si mosse per otto dieci metri con il classico leggero sobbalzo. **************** La passione per il fermodellismo poi, tra riparazioni e modifiche, mi portò a Como per comprare eccezionalmente qualcosa da rivendere e molti ricambi. Siamo nel 1974. Il viaggio in treno sino a Milano, il cambio, ed un locale per Como. Arrivai verso le 9,30-10.00. Ad onor del vero, niente di speciale: l'ingresso anonimo privo delle attese ed immaginate connotazioni ed una segretaria che mi avvertì di una inaspettata attesa. Dopo una ventina di minuti mi feci coraggio e chiesi di poter visitare lo stabilimento. La richiesta fu fatta con quello stato d'animo di chi è pronto a ricevere un diniego mascherato da una scusa del tipo "adesso no, vediamo dopo" oppure "manca la persona addetta" e via di seguito. Niente di questo. La segretaria parlottò al telefono e dopo poco arrivò un signore magro che io ricordo oggi -temendo di sbagliare- come il cugino di Alessandro Rossi. Questi mi condusse nella sala campionaria ovvero quello che poi fu definito il Museo della Rivarossi. Qui incomincia l'indescrivibile. Mai visti tanti "trenini" tutti insieme prima di allora e ad oggi. Fu una sensazione inebriante, non riuscivo a poggiare lo sguardo su un modello che veniva attratto da un altro. Era letteralmente impossibile vivere il momento, eri sempre proiettato in avanti, incapace di vivere quel presente. Ero frastornato. Le sensazioni si sovrapponevano. Essendovi molti vagoni su ciascun ripiano mi pareva di sentire il rumore che ogni convoglio fa alla partenza ed alla fermata per il gioco dei ganci. Guardavo senza chiedere. La persona che mi accompagnava si tenne moderatamente in disparte, certamente consapevole di ciò che mi accadeva. Sicuramente sostai in quella stanza una trentina di minuti. Dopo andammo della sala dove erano depositati i plastici. Ricordo benissimo il più grande. Il sistema Rivarossi era facilmente riconoscibile, gli spinotti tripolari per i semafori, il cavo piatto a tre colori, la fila di scatolette per il comando degli scambi (Le 4210 ?), Pergine, San Nazario, i P.L.A., i binari con il magnete permanente per sganciare il vagone (Vi ricordate la manovra che bisognava fare che sganciare?), le marmotte, ecc. Qui c'erano gli odori, legname, collanti e plastiche. Osservavo con attenzione cercando di comprendere le tecniche costruttive, di individuare le botole di accesso, cercavo i sezionamenti fatti con il binario da 10 cm con l'innesto di isolante rosso e quelli con la controrotaia per pilotare qualche scambio o relè di blocco. La catenaria era presente su tutto il tracciato. Bellissimo era il tram. Qua e la troneggiavano gli RT3. Il "viaggio" continuò nello stabilimento vero e proprio. Ricordo su dei tavoli i motori allineati, erano quelli dove il rotore era montato su sfere (molti li definivano "su cuscinetti a sfere"), ricordo anche delle caldaie sempre ben allineate, c'era molto ordine ma ricordo poca luce. Andammo poi nella zona verniciatura. Questa era fatta manualmente da tre quattro persone che lavoravano sotto delle cappe aspiranti. In quel momento verniciavano delle carrozze tipo PULLMAN. I movimenti erano rapidi. La visita finì qui, ritornammo verso l'ingresso dove mi raggiunse la persona con la quale era programmato l'incontro. Detti la mia lista, iniziammo a chiacchierare, ma lui -per quanto affabile- era un commerciale. Mi propose di andare a pranzo insieme, concludemmo con un'ottima merigata. Nell'andare via mi prese in contropiede presentandomi Alessandro Rossi che io non avevo mai visto. Rossi fu gentile, deciso, poche parole. **************** Oggi cosa mi rimane? La gioia della stanza campionaria. Lo ripeto, fu e rimane indescrivibile. |